Il bibliotecario scomparso - racconto di Natale '23


Il bibliotecario scomparso
 
racconto
 
di Cesare Bartoccioni
 
 
 
 
Il mio nome è Adelmo Bonatti, e sono il curatore provvisorio della biblioteca comunale. Sono stato appena nominato dall’Assessore alla cultura, per sostituire ------, di cui improvvisamente si son perse le tracce, in attesa dell’emissione di un nuovo bando per la figura di bibliotecario e delle relative procedure di concorso e assunzione.
Ma non voglio parlare oltre di me, non è importante. Sono solo di passaggio. Beh, come tutti, del resto.
Vergo queste righe qui, sul libro dei visitatori della biblioteca, a futura memoria. Non so se saranno mai lette da qualcuno, né so se questo registro verrà poi, una volta terminate le pagine disponibili, conservato o inviato al macero. Qual è il destino dei libri dei visitatori, alla fine? Voi lo sapete? Io no. Vengono forse disposti in teche trasparenti a tenuta stagna e a temperatura controllata per l’ammirazione dei visitatori futuri? Sono sbattuti accatastati nell’angolo più buio e umido dello scantinato dell’edificio, indirizzandoli a un breve futuro di muffa e topi? Sono imbarcati sulla prossima sonda diretta oltre il sistema solare, per mostrare a possibili entità extraterrestri intelligenti il modo in cui noi, qui, sul nostro pianeta, firmiamo i libri degli ospiti? O vengono semplicemente riciclati per produrre altri registri dei visitatori?
Ad ogni modo, scrivo su questo supporto in quanto non so, in realtà, se ciò che sto riportando è degno di nota, se è qualcosa di sostanzioso, o se è semplicemente una presa in giro. Nel dubbio, lo fisso qui, nero su bianco; così potrò dire di aver reso i fatti di cui sono venuto, anche se in modo peculiare, a conoscenza, senza che la mia reputazione rischi di risentirne troppo, anche perché questa non si trova  proprio... in vetta, diciamo così... nella classifica delle considerazioni cittadine.
Bando alle ciance. Ho parlato, cioè scritto, di fatti che devo rendere. Eccoli.
Dopo alcuni giorni dalla mia nomina, mentre stavo risistemando tomi e registri, lavoro del resto quanto mai agevole, data la puntigliosa opera svolta dal mio predecessore, lo scomparso ------, al ritorno dalle corsie dedicate al romanzo storico e ai gialli francesi, mi ritrovai una busta chiusa sul ripiano della scrivania. Ero certo che non vi fosse, al mio arrivo, poiché la prima cosa che faccio ogni mattina, entrato in biblioteca, è appunto riorganizzare la scrivania. Quindi qualcuno era entrato mentre riordinavo i volumi negli scaffali, aveva lasciato quella corrispondenza, e se n’era andato. Il postino? No. Il postino suona, due volte, e poi ci conosciamo, facciamo sempre due chiacchiere, ci prendiamo un caffè... No. Non il postino. Un lettore? No. Un lettore riporta i libri letti, e di solito ne prende altri. La donna delle pulizie? No. Non c’era. Le finanze del Comune sono all’osso, le pulizie spettano al curatore. Cioè a me. E io non avevo messo alcuna busta sulla scrivania. Tra l’altro il plico, bianco, in formato DL per la cronaca, cioè atto a contenere un foglio A4 ripiegato in tre parti, non aveva né mittente né destinatario né niente.
Presi la busta, la soppesai, me la rigirai nella mano destra, mentre con la sinistra mi accarezzavo i miei radi capelli sale e pepe, mi posizionavo sul naso a patata gli occhiali da presbite poggiati sul capo, aguzzando i miei occhi verdi alla scoperta di segni o indizi. Niente. La sinistra scese a grattarmi il ventre rotondo, racchiuso in una camicia di cotone a righe verticali bianche e panna che, attillata e sporgente, offriva un piacevole, almeno secondo me, contrasto con il completo marrone, spiccando sulla cravatta dorata ad arzigogoli. Allungai lo sguardo oltre la busta, notando alcune tracce di polvere sui miei mocassini rossi. Va be’, li avrei puliti dopo. Ora v’era la questione della lettera da affrontare. Perché era chiaro che di lettera si trattava. Dentro la busta vi era palesemente un foglio, forse anche più di uno.
Mi sedetti alla scrivania di formica bianca. Spostai lo schedario dei lettori, un parallelepipedo in similpelle blu che conteneva tutti i 47 nominativi degli iscritti alla biblioteca comunale. Aprii il cassetto del desco e ne estrassi il tagliacarte, un aggeggio a forma di pugnale dove la scritta “Fiabilandia” riportata sull’elsa ne denotava la provenienza. Chissà che giri aveva fatto prima di finire lì.
Infilai la lama di plastica sotto la patella, e con una certa difficoltà, dato lo spessore del PVC del tagliacarte, tagliai, o meglio ruppi, la linguetta di chiusura.
Estrassi il contenuto della busta. Erano tre fogli formato A4, dattiloscritti. Curioso che qualcuno usasse ancora la macchina da scrivere, oggigiorno.
Iniziai a leggerli. Lungi da me voler trarre conclusioni, né avallare la veridicità o meno del contenuto di ciò che qui sto per trascrivere, lascio a te, lettore, se mai poserai gli occhi su questo libro degli ospiti, l’onere di... capirci qualcosa.
 
Contenuto della lettera dattiloscritta in tre fogli formato A4, riportato fedelmente dal curatore provvisorio della biblioteca comunale Adelmo Bonatti, il quale non si assume alcuna responsabilità su quanto qui di seguito trascritto, trattandosi di testimonianza altrui della quale il curatore di cui sopra si fa semplicemente latore.
 
Buongiorno, o, magari, buon pomeriggio, o buonasera, o buonanotte. Insomma, penso che dipenda da quando leggerete, se mai leggerete, questi miei fogli, no? Vengo al dunque, vengo al dunque, mio marito dice sempre che mi dilungo troppo, che descrivo elementi non necessari, che non vado mai al nocciolo della questione. Oh, ecco, mi sto già dilungando. Un momento, aspettate, adesso mi raccolgo i capelli, i miei capelli mossi lunghi e mori, in una bella coda di cavallo, così non mi danno fastidio. Ah, mio marito mi dice sempre che non mi sta bene, la coda di cavallo, fa risaltare troppo i miei zigomi alti, poco i miei occhi neri, e toglie la cornice alle mie labbra carnose, scoprendo eccessivamente il mio collo lungo e affusolato. Va be’, adesso lui non c’è. È in viaggio d’affari, in zona di guerra. No, no, non è un soldato. È un venditore. Lavora per la fabbrica d’armi di qui. Dice che le cose oggigiorno vanno a gonfie vele, vende a tutti, di qua e di là, e infatti mi propone sempre di lasciar perdere il mio lavoro alla caffetteria del paese, e di far domanda di assunzione alla fabbrica, così potremmo moltiplicare il fatturato, lui si farebbe le zone dei conflitti internazionali, io quelle delle rivolte, potrei specializzarmi nelle armi leggere, mine antiuomo, bombe a mano, così lui potrebbe dedicarsi alla sua vera passione, le bombe a grappolo, i missili autoguidati, l’artiglieria tattica nucleare. Mah, non so, non mi ci vedo tagliata. Preferisco servire caffè e brioche. I clienti non mancano. Meno di quelli che comprano da mio marito, certo, ma quei quattro o cinque al giorno ci sono sempre. Il proprietario del caffè in realtà dice sempre che, ad andare avanti così, finirà col chiamare mio marito affinché gli venda una pistola e una cartuccia. A quel punto magari farò domanda. Mio marito dice che non è poi tanto diverso da vendere caffè e brioche. Mah. Sarà. Comunque, ecco, vedete? Mi sto dilungando di nuovo. Vengo al dunque.
Allora, si tratta del bibliotecario scomparso, ------. Io l’ho visto. Cioè, l’ho visto prima che scomparisse, chiaramente. Poi non l’ha visto più nessuno. È per quello che dicono che sia scomparso, credo. Ad ogni modo, io l’ho visto il giorno prima che girasse la notizia della scomparsa. Qui, al caffè. Cioè, lì. Adesso sono a casa, sto battendo. Cioè, voglio dire, battendo a macchina. La bella e vecchia Lettera 32 che mi lasciò mio nonno. Non so usare i computer, non ho mai imparato. Mio marito dice che dovrei, che le vendite di armi online costituiscono una buona fetta del giro d'affari, oggigiorno.
Comunque, non sono tanto brava neanche a scrivere, in verità, quindi farò una cosa molto semplice. Riporterò qui direttamente il dialogo tra il bibliotecario ------ e un signore dall’aria compita, di bell’aspetto, nonostante la tarda età tradita dalla canizie e il leggero sovrappeso, nel suo elegante completo cremisi di tendenza, così diverso dal liso spezzato di giacca tartan verde grigia e pantaloni di velluto marrone a coste su Clark beige scamosciate di ------, dialogo che si svolse il giorno -- -- ----, al tavolo alla finestra del caffè dove lavoro. Mi sento in dovere di trascrivere quanto ho sentito, perché magari è importante, poi al limite anche no, ma chissà. Porterò poi questo scritto in biblioteca, e lo lascerò lì sul tavolo del bibliotecario, mi sembra una buona idea. Non pensate male di me. Di solito non sto a origliare i clienti, ma ho una memoria talmente ferrea che mi ricordo sempre ogni singola parola che tutti quelli a portata del mio orecchio dicono. Potrei scriverci romanzi storici completi! Come quando il ministro venne a far visita al mio coniuge chiedendogli se potesse magari organizzare una fornitura non registrata per sostenere... Ma ecco, sto ancora divagando. Basta. Ecco il dialogo tra ------ e il signore in cremisi, che gli chiese...
 
“Sei felice?”
“Beh, sì, perché?”
“Ti piace la biblioteca?”
“Beh, è interessante, leggo molto... è un bell’impiego.”
“Impiego o ripiego?”
“Ehm... cioè?”
“Dai, ------, non fare il finto tonto, lo so bene com’è andata.”
“Ah, e come sarebbe andata?”
“Sarebbe andata come vanno le cose oggi, come vanno a tutti, non te ne devi vergognare.”
“Ma io non mi vergogno.”
“E allora perché negare?”
“Negare che?”
“Che il tuo lavoro di traduzione è morto e sepolto, da tempo ormai, perché ormai tutti usano l’intelligenza artificiale, accontentandosi di una qualità infima perché comunque il rapporto prezzo (0) e prestazione è vantaggioso, tanto oggi nessuno pare più accorgersi della differenza tra “a posto” e “apposto”, tra “al di là” e “aldilà”, per dirne due. Quindi i clienti ricevono schifezze e neanche se ne rendono conto.”
“Va be’, dai, pazienza, tanto erano più le tasse che dovevo pagarci che i soldi che ci guadagnavo.”
“E l’altro?”
“L’altro che?”
“Oh, sei reticente, oggi, ------! L’altro lavoro.”
“Dici... quello da scrittore?”
“Seee... lalléro! Quello da scrittore! Gli scrittori son tutti morti di fame, tranne due.”
“Due? Chi?”
“Lascia perdere. L’altro, dico.”
“Sì, avevo capito, avevo capito. Ma, sai, oggigiorno...”
“Oggigiorno tutti credono che per imparare basti guardarsi dei video sui social. Purtroppo lo crede anche il vostro governo. Quand’è che le hanno chiuse?”
“Cosa?”
“Dai, non fare il pirla.”
“Uff... le hanno chiuse, definitivamente, al termine dell’anno scolastico ----/----.”
“Eh già, mi ricordo. Mi ricordo il ministro in TV... quanto ha detto che avrebbero risparmiato i contribuenti? 87 mila miliardi all’anno? Bell’affare, eh?”
“Va be’, dai, pazienza, tanto erano più le scartoffie burocratiche che la didattica, negli ultimi tempi...”
“Sei felice?”
“Beh, dai. Tiriamo avanti.”
“In biblioteca? Quanti libri avete?”
“Circa... otto o nove... decine...”
“Quanti iscritti?”
“47.”
“Utenti fissi?”
“Cin... quat... tre, tre, sì, tre più o meno vengono quasi ogni settimana.”
“Sei felice?”
“Perché continui a farmi questa domanda?”
“Perché ho un lavoro per te.”
“Che lavoro?”
“Mi serve una mano.”
“Che mano?”
“Consegne.”
“Che consegne?”
“Prendiamoci un altro caffè. Signorina!”
“Signora.”
“Ah, è sposata?”
“Sì.”
“Peccato.”
“Perché?”
“È una bella donna.”
“E allora? Le belle donne non possono essere sposate?”
“Dipende con chi.”
“Beh, lei è sposata con... quel rappresentante... della fabbrica... che vende... fucili... mitragliatori...”
“Ecco.”
“Va be’, dai, pazienza.”
“Pazienti un po’ troppo.”
“Ma che dovrei fare, secondo te? Provarci?”
“Non sarebbe male come idea, no?”
“Ma va là...”
“Dai, non si può neanche più scherzare, tra amici? Dai, ecco i caffè, bevi, che ti fa bene.”
“Ne bevo un po’ troppi, ultimamente.”
“Sempre, non ultimamente.”
“Buono però.”
“Sì, fa un buon caffè. Sarebbe da sposare.”
“Ci risiamo, smettila.”
“Allora, accetti?”
“Accetto che?”
“Il lavoro.”
“Quale?”
“Quello che ti sto offrendo io. Quello delle consegne.”
“Non le fai più tu?”
“Certo, ma mica basta.”
“Non avevi tanti aiutanti?”
“Sempre meno. Mi servi.”
“Ma va là... vuoi farmi la carità.”
“Ma va là tu. Mi servi davvero. E mi servi subito, il tempo stringe.”
“Già... stringe sempre.”
“Allora, accetti?”
“Non lo so. Quali sarebbero le condizioni?”
“Tempo indeterminato, per principiare.”
“Sono già a tempo indeterminato.”
“Certo, finché non chiuderanno anche le biblioteche.”
“Mmh... e la paga?”
“Niente.”
“Niente?”
“Niente. Solo vitto e alloggio, al mio Villaggio.”
“Quando dovrei iniziare?”
“Subito.”
“Andiamo.”
 
 
 
FINE
 
9.12.2023

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