RIFLESSIONI EDITORIALI & MEDITAZIONI LETTERARIE VARIE,
NONCHÉ CONSIGLI PER ASPIRANTI SCRITTORI
di Cesare Bartoccioni
“Sono tra i 300…
finalisti del concorso letterario IoScrittore. Per regolamento
partecipo sotto pseudonimo, quindi non posso dirvi ancora con quale opera,
ovviamente inedita.
Ci aggiorniamo ;-)”
Con queste parole annunciavo il
passaggio alla fase finale del torneo di cui sopra. Nel frattempo ho completato
il romanzo, e l’ho caricato, finito e pulito, entro il 16 luglio 2020, termine
ultimo per l’invio dell’opera integrale.
Ad ogni modo, la partecipazione a
tale concorso, fin qui, mi ha suscitato diverse riflessioni e meditazioni, che
condivido con voi qui di seguito, concludendo con alcuni consigli per aspiranti
scrittori.
Durante la prima fase, cioè
quella del caricamento delle parti iniziali delle nostre opere, ognuno di noi concorrenti
ha ricevuto 10 incipit da valutare. Di questi, lo dico subito, ne ho stroncati
9 senza pietà.
Linguaggio insulso e
superficiale, poverissima terminologia, mancanza di costrutto, carenza di una anche
minima caratterizzazione dei personaggi, dialoghi improbabili scritti tutti con
lo stesso tono, cioè quello dell’autore, e che rendevano i “parlanti” delle
semplici estensioni del pensiero unico del narratore, descrizioni mal abbozzate
per cui la storia difetta totalmente di ambientazione, ma soprattutto: sommo spaesamento
grammaticale (e spesso anche ortografico), per non parlare della punteggiatura.
Sorvoliamo poi sulla velleità, tentativo ovviamente non riuscito, di rifare il
verso ad autori e ad opere di ben maggiore e consistente caratura.
Detto questo, viene naturale il
desiderio di spezzare una lancia a
favore delle case editrici, le quali sono palesemente subissate, inondate,
soffocate, da migliaia e migliaia di opere che naturalmente nessuno ha tempo e
modo di leggere, tantomeno di valutare. Inoltre, se tanto mi dà tanto, il
novanta percento di tali scritti consta, con tutta probabilità, di effimere
prove narrative di infima categoria.
Gli editor di tali aziende di
pubblicazione hanno, quindi, tutta la mia simpatia.
E però… beh, c’è un però. E cioè
che, solitamente, anzi quasi sempre, per potersi difendere e destreggiare tra
cotanta abbondanza di fuggevolezza creativa, occorre senz’altro dire che le
stesse case editrici finiscono poi, come suol dirsi, col darsi la ‘zappa sui
piedi’. Spesso, ciò avviene inserendo delle artificiose pastoie burocratiche
tra l’aspirante scrittore e il lettore-editore. C’è chi valuta solo le opere
inviate dalla mezzanotte esatta di un unico giorno dell’anno, ad esempio, per
dirne solo una. Altri specificano con precisione bizantina numero di cartelle,
tipo e grandezza di carattere, interlinea ecc. In altri casi si invita
l’aspirante scrittore a studiarsi bene la linea editoriale, salvo poi rifiutare
un racconto di fantascienza perché non corrisponde alla linea editoriale di
tale casa editrice di fantascienza. Mah. Misteri distopici.
E poi, immancabili, le richieste
di sinossi. Ora, lasciatemelo dire: le sinossi sono FUORVIANTI. Punto. È impossibile
valutare un’opera seriamente partendo dalla sinossi. Certo, è più di un
riassunto, è un biglietto da visita, ma, come ogni pubblicità, “serve solo a
illustrare il prodotto”. Il prodotto va letto. Altrimenti si rischia di
lasciare spazio a chi sa ‘vendersi bene’, salvo poi rivelarsi scrittorucolo da
due soldi. Infatti spesso è proprio ciò che succede.
Se io fossi un editore, non
chiederei sinossi, non mi inventerei artifizi burocratici, non inviterei a
leggere alcuna linea editoriale (anche perché, in tale ipotetica posizione, rifuggirei
come la peste il rischio di fossilizzarmi); io chiederei semplicemente le prime tre o quattro pagine dell’opera.
Credetemi, si capisce subito se
chi scrive è uno scrittore degno di nota, se sa scrivere e se sa tenere alto l’interesse
su ciò che scrive.
Provatevi a leggere un Paul
Auster, ad esempio. Le sue opere odorano di letteratura fin dalle prime righe.
Bene, a questo punto, va
riconosciuto al concorso letterario IoScrittore
il merito di voler, in qualche maniera intelligente, colmare il divario tra
aspiranti scrittori e ‘aspiranti’ editori.
E ora, se mi consentite (e anche
se non mi consentite, tanto il blog è mio, eh eh…), alcuni consigli per i
primi, gli aspiranti scrittori (offerti umilmente, ovvio, sotto forma di
decalogo, naturalmente, e da prendere con le molle, come tutto, del resto).
1. Vi
ricordate le lezioni di grammatica e ortografia, nonché di punteggiatura, alle
scuole Elementari e Medie (quelle che oggi si chiamano Primaria e Secondaria di
I grado)? No? OK, potete terminare qui la lettura. Sì? Bene, passate al punto
2.
2. Vi
piace leggere? Leggete regolarmente romanzi, poesie, opere di saggistica?
Ricordiamoci sempre, come a scuola, che prima si impara a leggere, poi a
scrivere ;-).
3. Sentite
il bisogno di scrivere? Avete quella insondabile necessità di vergare su un
foglio (o su un flusso binario di pixel) pensieri, parole, idee, fantasie?
Bene. Siete sulla buona strada.
4. Ciò
che vi viene da scrivere, è qualcosa fine a se stessa, che riguarda solo voi, o
è qualcosa che potrebbe essere di interesse per eventuali lettori? Nel secondo
caso, passate al punto 5.
5. Vi
divertite quando scrivete? Vi sentite appagati? Vi sentite rilassati e riposati
anche se fate le ore piccole? Avete interesse nell’approfondire le questioni
che emergono man mano dalla vostra opera? Eccellente. Allora, potete buttarvi a
capofitto nella lettura dei punti dal 6 al 10, ove, sempre umilmente, passerei
a illustrare delle buone pratiche, almeno secondo me, per creare e pubblicare
una buona opera.
6. IMMEDESIMARSI. Quando scrivo, entro nel
mio romanzo, nel mio racconto, nella mia poesia. Quando descrivo un ambiente,
io sono lì, me lo vedo intorno, ne apprezzo i colori, ne sento gli odori, ne
percepisco i rumori di fondo. Quando introduco un personaggio, io divento quel
personaggio. È un pirata dei Caraibi del XVII secolo? Io sono quel pirata. È un
prete cattolico che viaggia tra le strade della Liverpool del Maggio del 1970?
Io sono quel prete. E così via anche per tutti i personaggi minori. Non parlo
io, parlano loro, parlano nel modo in cui parlerebbero nella vita reale. L’importante
è identificarsi, piegare la propria innata natura a quella dei vari personaggi,
i quali, poi, alla fine, se si è fatto un buon lavoro, mandano avanti la storia
quasi in autonomia, spesso modificandone il corso, e a noi narratori resta solo
il compito di accompagnarli, assecondandoli. Insomma, per dirla con le parole
del grande Hemingway: “There is nothing to writing. All you do is sit down at a
typewriter and bleed.” Bisogna, semplicemente, sanguinare.
7. RICERCA. Ogni opera dell’ingegno, e
quindi anche ogni scritto, è alla fine un viaggio di scoperta, prima di tutto
per l’autore. Il lavoro di ricerca che sta dietro a ogni romanzo, a ogni
racconto, è la parte più corposa e importante del tempo dedicato alla sua
stesura. Ambiento una storia tra Medioevo e Rinascimento? Nella Grecia al tempo
della Seconda Guerra Persiana? In un circo degli anni ’30 del 1900? Nella
Liverpool del 1970? Devo sapere tutto: cibi, vestiario, armi, architettura, planimetria,
abitudini, consuetudini, sottofondo storico, nomi dei luoghi del tempo,
eccetera, eccetera, eccetera. Faccio un esempio: per scrivere tre parole, nel
romanzo Un anno da pirata, e cioè “cinque
ore dopo”, ci misi più di una settimana. Era il periodo di navigazione tra due
punti delle Florida Keys, termine non ancora in uso al tempo di ambientazione
del romanzo, quando tali zone si chiamavano Tortugas
Secas, per inciso. Certo, avrei potuto semplicemente cavarmela con “alcune
ore dopo”, ma la precisione arricchisce la narrazione e la rende più stimolante
per il lettore. Esempio di precisione: un conto è scrivere “Il pollice armò il
cane della pistola”, un altro è scrivere “Il pollice della destra armò il cane
della Webley Mark IV” (da Il
Prestigiatore). Inoltre il tutto diventa più interessante e appagante anche
per chi scrive. Ebbene, tornando a “cinque ore dopo”, per stendere quelle tre parole
passai più di una settimana a calcolare distanze, nodi di velocità dei velieri
del tempo, influsso di correnti e venti nella zona di ambientazione della scena.
Insomma, non dare mai nulla per scontato.
8. RISPETTO. È vero che non bisogna mai
dare nulla per scontato, ma è altrettanto vero che non bisogna mai mancare di
rispetto all’intelligenza del lettore. Quindi: non palesare mai tutto subito,
di un personaggio, di un luogo, di una situazione. Questo è abbastanza ovvio. Poi:
se vi sono dei nessi storici, mitologici, leggendari eccetera, lasciarli sempre
a livello di riferimenti e di accenni. È stimolante, per un lettore impegnato, compiere
anche da parte sua le proprie ricerche. Si diventa parte della storia. Il
lettore deve sentirsi, giustamente, protagonista.
9. RILETTURA. Ciò che scrivete va letto,
riletto e poi ancora riletto. In parte per vedere se rimane interessante. Se vi
interessa, se vi piace rileggere ciò che avete scritto, beh, piacerà anche al
lettore. E in parte, elemento altrettanto importante, anzi fondamentale, per percepire
se vi sono delle correzioni (o delle asportazioni, dato che nella stesura
finale è più ciò che si elimina rispetto a ciò che eventualmente si aggiunge)
da effettuare. Anche qui, non date mai nulla per scontato, mai. Nel mio ultimo
romanzo, solo dopo aver riletto tre o quattro volte il tutto, mi sono accorto
di aver inavvertitamente posizionato uno stesso edificio in due luoghi diversi…
In questa ultima fase è molto utile, oltre che istruttivo, far leggere ciò che
avete scritto a una cerchia ristretta di amici, conoscenti o parenti fidati. Per
intenderci, non i saputelli sempre pieni di consigli inutili, che chiaramente
non applicano poi mai a sé stessi, bensì persone serie, che ti avvisano di
eventuali incongruenze e che ti consigliano a cuore aperto.
10. PUBBLICAZIONE. Eccoci qui. Avete scritto
il vostro libro, lo avete riletto, controllato, eviscerato, pulito, purgato, scrostato,
sbattuto. Ci avete sudato notti splendide e insonni, le proverbiali sette camicie,
vi ci siete bloccati e poi sbloccati, avete fatto la doppia fatica di
arrabbiarvici e disarrabbiarvici. Ottimo. Il libro è pronto, va bene, è finito,
è compiuto, è terminato, è perfetto. Ora va solo pubblicato. Più facile a dirsi
che a farsi, si diceva un tempo. E un tempo ciò era vero. Ora, grazie
soprattutto alla stampa digitale e on-demand, la pubblicazione è molto più
facile rispetto al passato. Ma cominciamo dall’inizio. Per pubblicare, vi sono
tre strade principali, oltre naturalmente alla partecipazione ai concorsi
letterari. Se si sceglie questa quarta via, vi invito ad informarvi bene sul
concorso di cui in oggetto, su chi lo bandisce, sulle modalità di
partecipazione, se è a pagamento (evitare) oppure no, se in palio c’è una “proposta
editoriale” (di solito a pagamento, evitare) oppure la pubblicazione da parte
di una casa editrice di un certo livello, e via così. Diffidare soprattutto di
chi utilizza dei nomi famosi (solitamente di autori da tempo trapassati nel
mondo dei più) per pubblicizzare un concorso letterario che con tali nomi nulla
ha a che fare. Quindi, torniamo alle tre strade principali: 1. Proporre la propria opera alle case
editrici, in base alle modalità e ai tempi da esse indicati, oppure ad agenti
letterari (in entrambi i casi, armatevi di santa pazienza, e non scoraggiatevi
mai ai primi rifiuti…); 2. Pubblicare a
pagamento con una delle tante case editrici attive nel settore (in tal
caso, accertarsi bene, prima, di tutte le condizioni di distribuzione, vendita,
royalties eccetera); 3. Pubblicare in self-publishing, sistema che, in
virtù dei bassi costi consentiti dalla stampa digitale e dalla modalità on-demand,
permette con una spesa minima di vedere il proprio libro distribuito, sia in cartaceo
sia ovviamente in e-book, nei vari store e nelle varie librerie. Ho già trattato
di questo aspetto, per cui vi invito semplicemente a seguire tale argomento in
questa pagina del mio blog.
Vi ringrazio per l’attenzione. Buona
lettura e, in caso, buona scrittura!
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