Nota per il lettore: questo che trovi qui di seguito è un capitolo inedito del romanzo "Lo strano caso del Professor Joe Fox". È stato scritto successivamente rispetto alla prima edizione del romanzo, su stimolo di uno stimato lettore. Idealmente, si colloca tra il settimo e l'ottavo capitolo dell'opera pubblicata. Tuttavia, questo "intermezzo" non inficia minimamente la lettura del romanzo nella sua stesura originale. È semplicemente un "di più" che, magari, qualche lettore potrà apprezzare. Buona lettura!
Nota per il lettore: questo che trovi qui di seguito è un capitolo inedito del romanzo "Lo strano caso del Professor Joe Fox". È stato scritto successivamente rispetto alla prima edizione del romanzo, su stimolo di uno stimato lettore. Idealmente, si colloca tra il settimo e l'ottavo capitolo dell'opera pubblicata. Tuttavia, questo "intermezzo" non inficia minimamente la lettura del romanzo nella sua stesura originale. È semplicemente un "di più" che, magari, qualche lettore potrà apprezzare. Buona lettura!
7 ½. UNA GIORNATA NELLA VITA DI PADRE
MCKENZIE
Someday when I’m lonely
Wishing you weren’t so far away
Then I will remember
Things we said today
Wishing you weren’t so far away
Then I will remember
Things we said today
(The Beatles, Things We Said Today)
Quel
giorno non riuscii a staccare gli occhi da Eve per tutta la durata del nostro
lavoro.
Il direttore
della filiale della Liverpool Savings Bank, un tipo dal volto garbato sotto il
riporto di capelli sulla incipiente pelata e dalla corporatura pienotta, ma ben
proporzionata, nel suo completo beige quadrettato a linee giallo ocra, faceva ogni
tanto capolino nella saletta a noi riservata, chiedendo se avessimo bisogno di
qualcosa. Dallo sguardo, era palese che volesse in realtà sincerarsi della corrispondenza
delle nostre attività di ricerca a quanto gli avevo prospettato al momento della
richiesta di un luogo tranquillo per poter esaminare i documenti lì depositati.
Quindi, apparentemente rassicurato, se ne tornava nel suo ufficio. Un paio di
volte entrò la cassiera, una cortese signora di mezz’età con i capelli biondi
raccolti in impeccabile permanente e il fisico robusto ingentilito in una
camicetta di taffetà bianco e in una lunga gonna con pince alla vita dello
stesso colore del completo del direttore, distolta dalla sua routine quotidiana
per offrirci, tra esagerate profusioni di scuse per l’intrusione, tè o caffè. Lo
sguardo nei suoi occhi aveva la stessa maliziosa luce di quello del suo
direttore.
Non me ne
curai molto. C’erano cose ben più importanti e impellenti a cui pensare. I carteggi
avevano rivelato un abisso di disumanità, una nera voragine che si era aperta
in un luogo di cultura, dove tanti giovani che si erano lì recati per
migliorare se stessi e costruirsi un futuro avevano visto il loro futuro negato
e distrutto dalla schizofrenia omicida di chi, nella sua mente malata, aveva
teorizzato una folle antropologia. Rivelarne il contenuto era un dovere morale.
Un dovere umano.
“Ho un
solo, forte ricordo di mio padre.”
Eve
pronunciò le parole con un tono dolce e triste di amorevole rimpianto.
La guardai
nel volto, ove la luce riflessa dalla lampada che illuminava i documenti ne
esaltava le forme armoniche e gentili, al di sotto della folta capigliatura
nera raccolta sulla sommità del capo con un fermaglio.
“Ero abbastanza
grande da camminare, suppongo, dato che ho memoria di starmene in piedi sulla
soglia di casa, ma ancora troppo piccola per avere una visione del mondo oltre
quella dei miei genitori e del mio ambiente immediato.”
Eve, nel
parlare, sfogliava i frammenti di diario, le ricevute, le lettere che avevamo
sparpagliato sul tavolo, cercando di dar loro un ordine logico.
“Ricordo
un abbraccio, lungo, sostenuto. Un sorriso. Mio padre che si allontana. Si gira
per un ultimo saluto.”
Una
lacrima le colò dalla palpebra destra, cadendo su uno dei carteggi.
Con un
gesto rapido della mano si asciugò gli occhi. Inspirò a fondo. Quindi sollevò
il capo e mi fissò.
“Vede
padre… ogni volta che, in seguito, in famiglia si parlava di mio padre, la mia
mente richiamava quell’immagine. L’immagine di un addio.”
Allungai la
mia mano sinistra, posandola sulla sua destra, sul tavolo. Lei mi sorrise, un
sorriso mesto, eppure luminoso.
“Nessuna
figlia dovrebbe mai avere tale unica immagine del proprio padre, non trova?”
Strinsi le
labbra e assecondai il suo pensiero con un cenno del capo.
“Sì, Eve. Nessuna.”
Restammo in
silenzio per un lungo istante. Eve tornò ad esaminare i documenti.
“Quello
che c’è qui dentro è terribile. Padre. La loro stessa lettura è un tormento. E il
pensiero che una delle vittime è probabilmente stato mio…”
Non riuscì
a terminare. Si coprì il volto con entrambe le mani, e tutto il suo esile corpo
fu sconvolto dai singulti del pianto.
Mi alzai e
andai ad abbracciarla alle spalle. Il suo profumo di rose selvatiche con un
lieve sentore di mughetto mi inebriò, infondendomi, per chissà quale misteriosa
alchimia, una determinazione ancor più decisa per andare, su Joe Fox, fino in
fondo.
Parlai a
voce bassa e risoluta, scandendo bene le parole.
“Purtroppo
non possiamo riparare al male compiuto, Eve, figliola mia, ma farò tutto ciò
che è in mio potere per far conoscere al mondo questa orribile storia, e per
impedire che ciò che è successo possa accadere ancora. E questa, Eve, è una
promessa.”
(Cesare
Bartoccioni, 16 giugno 2019)
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