di Raffaello Fabbri
recensione di Cesare Bartoccioni
La lettura di “Ondimar, il canto del mare” di
Raffaello Fabbri, è uno di quei viaggi di scoperta che sono sempre più rari nel
panorama letterario contemporaneo. Pare quasi che, oggi, stia agli autori esordienti,
forse perché più liberi dai condizionamenti che inevitabilmente si accompagnano
alla fama o al mantenimento di particolari nicchie di mercato, esplorare nuove
strade e nuovi linguaggi. L’idea di “Ondimar”, ha affermato lo stesso autore,
nasce dal voler rendere giustizia e testimonianza di un’invenzione: una macchina
capace di ricavare elettricità dal moto ondoso del mare, frutto della genialità
di un capitano di marina, Edoardo Pirandello, finito ingiustamente nel
dimenticatoio della Storia. Tuttavia, fin dalle prime righe dell’opera, ci si
rende conto che, in realtà, ciò che l’autore tratteggia in questo romanzo è ben
altro, anzi, molto altro. Si narrano le vicende di una famiglia, i Morri del
borgo San Giuliano di Rimini, e le loro vicissitudini tra amicizia, amore e
contrasti, sullo sfondo degli avvenimenti più salienti del primo novecento, dalle
seducenti aspettative della Belle Époque fino alle tragiche disillusioni della
Prima Guerra Mondiale, passando per i moti popolari, le prime lotte organizzate
per la giustizia sociale, gli embrioni di quelle prime bande radunate da
possidenti e “padroni” che poi sfoceranno nel fascismo (qui, en passant, la
netta sintesi dell’autore esplicita, in poche parole, una genesi ancora oggi
poco e male analizzata: “La squadra che i
possidenti stavano organizzando per dare una lezione ai mezzadri troppo
emancipati faceva giusto al caso suo”, si legge a pag. 32). Le storie dei
protagonisti si intrecciano, tra Rimini la Romagna e le trincee del Piave, con
una semplicità spiazzante e in una maniera che l’autore riesce a rendere fluida
e naturale, con la Storia del periodo narrato, una Storia raccontata dal punto
dei vista dei vinti, di chi si trova sempre dalla parte sbagliata della fortuna.
La presentazione dei vari personaggi procede a un ritmo molto serrato, in un caleidoscopio
di avvenimenti che, all’inizio, può sconcertare e confondere alla prima lettura.
Tuttavia, l’autore riesce, con un’abilità incredibile, a caratterizzare tali figure
semplicemente tratteggiandole, lasciando ai dialoghi il compito di mostrarne al
lettore la natura. E qui, grazie anche all’uso del dialetto riminese, i tanti attori escono
dalle pagine con tutta la loro umanità e con tutto il loro verismo. Ma, al di
sotto di questo vorticante caleidoscopio, resta un punto fermo, ben localizzato
nei suoi pilastri sociali, culturali e geografici. Sul sottofondo della narrazione,
sempre presente e sempre avvolgente, sta quello che, a mio avviso, è il vero personaggio
dell’intero romanzo. La città di Rimini.
Un’esplorazione, un recupero di storie
perdute, una riscoperta delle proprie origini.
Buona lettura.
|
Informazioni editoriali
|
Nessun commento:
Posta un commento