Un racconto di oltre venti anni fa, tornato alla mente a causa dei
recenti venti di guerra nel vicino oriente. Nonostante l'accuratezza
delle descrizioni e delle situazioni, ogni riferimento a eventi,
persone, nazioni, servizi segreti, unità militari ecc. realmente
esistenti è puramente casuale.
AFRICA
Tamburi...
Ali d’uccello... Vortice... Capovolgimento... Luce e ombra...
Morte... Africa... Rumore... Urla... Africa... Grida... Tempesta...
Africa... Africa... AFRICAAA...
Howard
McKey si svegliò di soprassalto, si mise a sedere sul letto. La
testa gli ronzava come se fosse stata riempita d’api. Per un attimo
guardò fisso dinanzi a sé, poi ricordò.
Africa...
Era
già una settimana. Robert, il suo capo, l’aveva chiamato in
ufficio: un ufficio pulito, in un palazzo pulito, in una pulita
cittadina del Texas, dove si lavorava, all’insaputa dei più, per
conto della Defense Intelligence Agency, il servizio segreto del
Pentagono. Il lavoro che si sbrigava da lì era tutto tranne che
pulito.
“Siediti,
Howard, e prendi pure da bere.” gli aveva detto il capo non appena
era entrato nel suo ufficio. E quando il capo iniziava così, non
c’era nulla di buono all’orizzonte.
“Sai
che cos’è il progetto OSCAR H4?”
“Ne
ho sentito parlare, Robert, ma non ne ho che una vaga idea.”
“Te
lo spiego in due parole: è un esperimento che viene portato avanti
da noi della DIA e dal SISMI, il servizio segreto militare italiano.
Un ingegnere italiano, Oscar Ghetti, da cui il progetto prende il
nome, è riuscito, in laboratorio, a controllare una scarica
elettrica di notevole intensità. Egli ritiene che con ulteriori
ricerche si potrebbe riuscire nei prossimi tre o quattro anni a
trasmettere l’elettricità senza doverla convogliare mediante cavi
elettrici o altri conduttori.”
“Un
momento, un momento... Vuoi dire che sarebbe possibile...”
“Il
principio è lo stesso del fulmine, una scarica elettrica che si
trasmette senza bisogno di cavi. Tutto sta a controllare la scarica.
L’ingegner Ghetti c’è riuscito, ma in piccolo e in un
laboratorio. Ora si cerca di riuscirci in grande, su grandi
distanze.”
“È
impossibile, non si può controllare un fulmine.”
“Eravamo
arrivati anche noi a questa conclusione, Howard, e stavamo per
abbandonare tutto quando...”
“Quando?...
Continua.”
“Quando
ci arriva la notizia che gli Israeliani hanno sperimentato con
successo la trasmissione di energia da una centrale elettrica vicino
a Tel Aviv ad un laboratorio distante una cinquantina di miglia.
Senza cavi!”
“Come
hanno fatto?”
“Secondo
noi hanno degli infiltrati, o da noi o nel SISMI, che hanno rubato
informazioni e documenti sui nostri esperimenti. Poi qualche loro
ingegnere ha imbroccato la strada giusta e...”
“Non
credevo che gli Israeliani avessero degli infiltrati da noi. Siamo
alleati, no?”
“Gli
Israeliani sono previdenti. Il loro servizio segreto, il MOSSAD, ha
infiltrati in praticamente tutti i servizi segreti del mondo.”
“Ad
ogni modo non vedo il problema. Siamo in buoni rapporti con Israele,
no?”
“Esatto.
È proprio questo che non deve cambiare. Finora noi abbiamo avuto un
importante alleato in Israele perché lo abbiamo sempre aiutato fin
dalla guerra dei sei giorni. In pratica gli Israeliani dipendono da
noi per i macchinari, gli investimenti e soprattutto per le armi. Ma
ora pensa a quello che essi potrebbero fare con questo rivoluzionario
metodo di trasmissione dell’energia elettrica, sia in campo civile
sia soprattutto in campo militare. Andrebbe a finire che saremmo noi
a dipendere da loro. Da alleati ci trasformeremmo in concorrenti
spietati.”
“E
così voi avete pensato ad un bel piano!”
“Mi
piace la gente che capisce al volo, Howard. Il nostro piano è molto
semplice, lo abbiamo chiamato 'AFRICA', così nessuno si
insospettisce.”
“Geniale”
nel volto di Howard una smorfia di sarcasmo.
“Però
devo avvertirti che è tanto semplice quanto rischioso. Quindi se non
te la senti...”
“Mi
sono mai tirato indietro?”
“Bene.
Tra quattro giorni prenderai un aereo che ti porterà da Dallas
direttamente a Damasco, in Siria. Da lì ti sposterai in auto fino
alla cittadina di Sheikh Sad e aspetterai finché un ufficiale
dell’aeronautica siriana, che lavora per noi, non ti verrà a
prendere e ti porterà in un aeroporto militare lì vicino, di notte.
Troverai già pronto un MiG 23 da attacco armato con quattro bombe da
mille libbre ciascuna e con due serbatoi supplementari di carburante
che ti permetteranno di raggiungere l’obiettivo.”
“Se
ho ben capito, dovrei bombardare il laboratorio dove gli Israeliani
conducono le loro ricerche.”
“Esatto.
Quando tu lo bombarderai dentro ci saranno tutti i principali
responsabili del progetto. Nello stesso tempo un nostro agente
infiltrato nel MOSSAD... come vedi neanche noi dormiamo... provocherà
un incendio ‘accidentale’ che distruggerà tutte le copie dei
documenti dell’esperimento che si trovano in un ufficio del
Ministero dell’Interno israeliano. Questo comporterà un enorme
ritardo per Israele che dovrà iniziare daccapo; ciò ci permetterà
di riguadagnare il tempo perduto.”
“E
il bombardamento da parte del MiG 23 darà la colpa alla Siria.”
“Così
noi ne usciremo con le mani pulite. È necessario, Howard.”
“Come
farò poi a tornare a casa?”
“Questa
è la parte più difficile. Una volta bombardato il laboratorio ti
dirigerai verso il mare, ti eietterai in acqua dopo aver volto la
prua dell’aereo di nuovo verso la terraferma, in modo che si
possano poi rinvenire i resti del MiG; giunto in acqua azionerai una
trasmittente che comunicherà la tua posizione ad un nostro
sommergibile che incrocerà nelle vicinanze. Questo ti ritroverà e
ti porterà a casa.”
“E
se dovessero essere gli Israeliani a ritrovarmi per primi?”
“In
quel caso dovrai calarti in acqua sciogliendo le cinghie del
seggiolino eiettabile e dovrai ingerire una di queste.”
Robert
gli aveva porto una scatoletta azzurra. Howard la conosceva bene:
cianuro.
“Un’ultima
domanda; perché avete scelto me?”
“Perché
sei l’unico pilota americano che abbia abbastanza dimestichezza con
i caccia di produzione sovietica per portare a termine un’azione di
questo tipo.”
Non
c’era stato bisogno di dire altro. Quattro giorni dopo, Howard era
partito: destinazione Damasco.
Ora
si trovava seduto su un letto di una camera di un albergo senza
pretese nella pittoresca cittadina di Sheik Sad. La testa gli ronzava
ancora. Era preoccupato; era lì già da tre giorni e ancora non si
era fatto vivo nessun ufficiale dell’aeronautica siriana. Che fosse
andato storto qualcosa?
Si
vestì in fretta dopo essersi lavato alla meglio e uscì in strada.
Ciondolò per diverse ore spendendo buona parte dei dollari
rimastigli. Avrebbero anche potuto essere gli ultimi della sua vita.
Tornò in albergo.
Entrò
nella sua camera e notò subito un tizio in divisa seduto su una
sedia accanto al letto.
“Il
signor Howard McKey?”
“Sono
io.”
“Sono
il colonnello Mohamed-Ibn-Abdallà, dell’aeronautica siriana. Ho
l’ordine di portarla con me.”
Il
suo inglese era perfetto, senza accento.
“La
seguo, colonnello.”
Era
quasi buio, ormai. I due si diressero verso una camionetta che li
aspettava all’altro lato della strada. Salirono e partirono.
Circa
un’ora più tardi arrivarono all’ingresso di un aeroporto e lo
passarono senza problemi. Sulla sinistra si potevano scorgere otto
MiG 23 parcheggiati.
“Il
suo è già sulla pista, signor McKey.”
Howard
guardò d’istinto il conducente. O non parlava inglese o era
anch’egli della partita.
Il
colonnello disse qualcosa in arabo all’autista, che fermò la UAZ.
Scesero.
Il colonnello lo accompagnò in una stanza, dove Howard trovò tutto
l’occorrente di volo, compresa la trasmittente che doveva segnalare
la sua posizione al sommergibile.
“Quando
ha finito di vestirsi esca da quella porta là in fondo. Si troverà
proprio davanti l’aereo.”
Il
colonnello gli consegnò le mappe per la navigazione fino
sull’obiettivo.
“Ora
devo lasciarla, signor McKey, ho fatto tutto ciò che potevo.”
“Grazie,
colonnello.”
Howard
finì di vestirsi, poi si diresse verso l’aereo. Non c’era
nessuno in vista. Evidentemente il colonnello aveva pensato a tutto.
Una
volta giunto ai piedi del velivolo si accorse di alcune ombre che si
stavano avvicinando. Quando gli furono vicino vide che erano degli
inservienti. Si misero al lavoro. Lo avrebbero assistito durante la
fase di decollo.
Un
quarto d’ora più tardi Howard era in volo.
Il
dispositivo di visione notturna funzionava alla perfezione; sarebbe
stato uno scherzo.
Dopo
circa un’ora di volo a bassa quota, al di sotto della portata dei
radar israeliani, Howard era sull’obiettivo.
Premette
il pulsante di sgancio e si allontanò a tutta velocità. Raggiunse
la costa, si diresse al largo per mezzo minuto, poi volse di nuovo la
prua del MiG verso la terraferma e si eiettò.
L’accelerazione
che subì a causa dell’eiezione fu tremenda, ma flettendo i muscoli
riuscì a fare in modo che la tuta anti-g lo comprimesse abbastanza
da garantirgli una circolazione sanguigna pressoché normale,
impedendogli di svenire.
Toccò
la superficie del mare. Il seggiolino stesso lo teneva a galla. Cercò
la trasmittente e l’azionò.
Venti
minuti più tardi era a bordo di un sommergibile americano.
Una
settimana dopo si trovava nell’ufficio del capo.
“Davvero
un ottimo lavoro, Howard. Il laboratorio è stato completamente
distrutto. Nessun superstite.”
“Già.”
“Ti
ho proposto per una decorazione.”
“Mmh...
E i documenti sulle ricerche?”
“Distrutti
anche quelli. Successo completo.”
Howard
non era molto entusiasta. Eseguiva sempre gli ordini. Non si tirava
mai indietro quando c’era qualche missione. Ma non gli piaceva
uccidere. Non gli era mai piaciuto.
“Pensiamo
che ti meriti una vacanza. Perché non vai nella tua log cabin in
Alaska?”
“Sì.
Penso di aver bisogno di un po’ d’aria pura.”
Cinque
giorni più tardi Howard si trovava nella sua casa di legno a venti
miglia a nord di Fort Yukon, in Alaska.
Il
giorno prima, gli Israeliani avevano attaccato in forze la Siria,
responsabile di un sanguinoso bombardamento che era costato la vita a
sette alti ufficiali dell’esercito di Israele e a oltre cinquanta
civili che lavoravano in un innocuo laboratorio per ricerche
elettriche. Gli Stati Uniti esprimevano la loro solidarietà per lo
Stato Ebraico, vittima ancora una volta delle mire espansionistiche
arabe.
La
polveriera del Medio Oriente era esplosa di nuovo. E questo
nonostante l’infaticabile attività di pacificazione svolta da
Nazioni civili e progredite...
Howard
spense la televisione e gettò il telecomando lontano da sé,
disgustato.
Aprì
il cassetto del tavolino davanti a sé. Armò il cane della Smith &
Wesson che teneva lì dentro e si mise la canna del revolver in
bocca.
Cesare
Bartoccioni
5
ottobre 1992
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