René - racconto 'nivolico'


René

di Cesare Bartoccioni



Non riuscivo a crederci. Strabuzzai gli occhi, mi pizzicai le guance, mossi ogni singolo muscolo delle mie estremità, per convincermi che non fosse un sogno. O meglio, un incubo.
Serrai le palpebre con forza, e le tenni chiuse per lunghi secondi. Quando le riaprii, era ancora lì, nella stessa posizione in cui l’avevo trovato appena entrato nel tinello del mio appartamento. Seduto tranquillamente al tavolo, con le gambe accavallate.
La giubba di velluto blu, la barbetta bionda, i capelli neri e lucidi che spuntavano dal tricorno corvino, fino agli impossibili stivaletti di cuoio arancione. Non v’erano dubbi. Era lui.
Pensai che purtroppo mi ero già chiuso la porta alle spalle, e per giunta l’avevo pure ben inchiavardata, prima di volgermi alla saletta. Ora era troppo tardi. Non avrei fatto in tempo a far nulla, né a fuggire, né tantomeno a raggiungere il coltello lappone che tenevo nel cassetto di un comodino dall’altra parte della stanza. Idea assolutamente velleitaria.
La grossa pistola a ruota che, con nonchalance, mi teneva puntata al petto, era di un antico e vetusto modello, e il suo meccanismo di scatto, come era storicamente risaputo, non garantiva un funzionamento affidabile al 100%. Insomma, il dischetto di acciaio zigrinato avrebbe dovuto ruotare, sfregando la barretta di pirite tenuta in posizione dalle ganasce del cane, le cui scintille avrebbero poi dovuto dar fuoco alla polvere d’innesco, che a sua volta avrebbe incendiato la carica presente all’interno della canna, la cui spinta avrebbe fatto uscire la palla. E solo allorché tutto questo condizionale si fosse tramutato in indicativo, magari anche solo passato prossimo, io sarei passato a miglior vita. Avrei potuto correre il rischio scommettendo su tale inattendibilità, scagliare qualcosa addosso al mio avversario, puntare magari sul fatto di far eventualmente partire il colpo, e poi lasciare la questione ai coltelli.
Ma non l’avrei fatto. Non solo perché il grosso calibro della palla, qualora mi avesse centrato, a quella breve distanza mi avrebbe spappolato qualsiasi parte del corpo avesse beccato, ma anche perché, ponendo che mi avesse in effetti mancato, difficilmente avrei potuto avere la meglio in un corpo a corpo con il peggior pirata che la fantasia avesse mai immaginato, e poi, soprattutto, perché ero curioso. Curioso di sapere cosa mai potesse volere da me, lì a casa mia, in quel momento e in quel tempo, René De Boer, detto il Rosso, l’Olandese.
“Sorpreso?”
La voce bassa, quasi gracchiante, condita di una tonalità studiatamente scherzosa, ben si accompagnava al ghigno malefico che ben conoscevo.
“Beh, sì. Senza dubbio. A cosa devo…?”
“Le domande, qui, le faccio io, capit’? Prego, siediti.”
Mi guardai intorno, non c’erano sedie accanto a me.
“Sul pavimento.”
Obbedii. Poggiai la schiena alla porta.
Il capitano si accomodò sulla seggiola, la pistola sempre puntata verso di me. Socchiuse gli occhi osservandosi le unghie della mano sinistra. Poi se le strofinò sul revers della giubba, se le rimirò di nuovo, quindi, apparentemente soddisfatto, sollevò lo sguardo e mi fissò dritto negli occhi.
“Bene, caro il mio scribacchino da quattro soldi. Veniamo a noi.”
Feci per replicare, ma un gesto della sinistra del mio interlocutore, a palmo aperto, mi bloccò le parole in bocca.
“Allora, quando esce, eh?”
“Quando esce che?”
“Come ‘quando esce che’? Mi stai prendendo in giro? Non cercare di farmela fuori dal vaso, capit? Ci metto niente a spedirti nel paradiso dei paperbacks, nevvero?”
“Mi dispiace, capitano, ma non ho davvero idea di cosa stia parlando.”
René si chinò sulla sedia, allungando il collo, e sul volto gli si dipinse una smorfia di commiserazione.
“Su… fai un piccolo sforzo…” sussurrò.
Mi aveva chiamato scribacchino, minacciandomi di spedirmi nel paradiso dei paperbacks. Indovinai quindi che si stesse riferendo a qualche mia nuova imminente pubblicazione.
“Beh, vediamo…” sollevai gli occhi al soffitto, in modo pensoso. “Si riferisce per caso a ‘Joe Fox’? Beh, per quello mi ci vorrà ancora un po’. Invece la nuova edizione economica di ‘Deanor’ sta per uscire, così come la seconda raccolta di poesie, ‘Altre poesie sparse (e sperse)’, ma non credo che quest’ultimo genere rientri fra i suoi preferiti…”.
L’Olandese scrollò il capo, in un gesto di studiato sconforto.
“No, no, caro mio, no. Acqua. Acqua.”
“Beh, capitano, non so… mi dia un indizio.”
Il capitano si drizzò sulla seduta, squadrandomi sempre dall’alto in basso, ma da un angolo ancora più accentuato.
“Ti dirò direttamente il titolo.”
Restai in attesa, ero curioso di saperlo anch’io, a questo punto.
“A Pirate’s Life, or, My Way on the Waves. The Real Story. By René De Boer.”
Restai a bocca aperta.
“Che? Mai sentito.”
René tornò a scrollare il capo, sbuffando come a voler comunicare l’assoluta mancanza di speranza nei miei confronti.
“Lo hai scritto tu.”
“No.”
“Sì.”
“No!”
“Sì!”
“Ma quando?”
“Il 23 novembre 2017.”
“Mi spiace, ma non ho memoria di questa linea temporale.”
“Non fare l’idiota, sto cominciando ad arrabbiarmi.” Il tono, tuttavia, era rimasto nell’alveo dello scoraggiamento.
“Non ti ricordi”, riprese dopo due secondi netti, “dell’articolo che hai scritto su come ‘Impaginare e pubblicare un libro’?”
“Ahh!”
“Eh!”
“Ma… non pensavo che qualcuno l’avesse davvero letto.”
“Beh, io sì. E ho potuto anche contemplare quel bel frontespizio. Allora, quando esce?”
“Beh… in realtà…” sollevai lentamente la mano destra e mi grattai la nuca. Stavo per dare una brutta notizia al vecchio pirata, “… era solo un esempio. Non penso di scrivere mai una cosa del genere.”
René ristette immobile un lungo istante. Poi si alzò in piedi, e mi puntò la pistola alla testa.
“In questo caso, non penso di aver più bisogno di te.”
Chiusi gli occhi, in attesa del colpo fatale. Non v’era nulla da fare. Riandai con la mente al romanzo ‘Niebla’ di Unamuno. Situazione simile, ma a parti invertite. Restai con gli occhi chiusi. Un secondo. Due. Cinque. Dieci. Beh? Non stava succedendo niente. Riaprii gli occhi.
René era tuttora di fronte a me, nella stessa postura, con la stessa arma puntata alla mia fronte. Solo lo sguardo era cambiato, conteneva un accenno di dubbio, di aspettativa.
“Beh?” chiesi.
“Beh… ecco… ora ti sparo, neh?”
Ma c’era qualcosa che lo bloccava. La mano destra stringeva l’impugnatura dell’antica arma, ma era come se il dito, nervoso, non riuscisse a premere il grilletto.
Improvvisamente capii. Certo. Che stupido. Era lampante. Non avrebbe potuto far nulla che io non avessi voluto, e soprattutto scritto.
Mi guardai bene dal farlo, naturalmente.
“Beh, capitano… facciamo una cosa.”
René inarcò le sopracciglia, restando in attesa.
“Ora lei abbassa lentamente il cane dell’arma, la rinfodera, e se ne esce da questo appartamento. E io vedrò di fare il possibile con ‘A Pirate’s Life ecc.’, che ne dice?”
Il Rosso ristette pensoso un lungo momento. Ma non v’era altro che potesse fare.
Abbassò con cura il cane della pistola, avendo pure l’accortezza di distogliere la canna da me durante la procedura. Se la infilò alla cintola. Afferrò la manopola della porta con la sinistra. La destra girò la chiave nella serratura. Il corpo di René infilò l’uscio. Già sul pianerottolo, voltò il capo e mi squadrò.
“Bene, beh… allora, a presto, nevvero?”
“Certo.” Gli sorrisi con gentilezza. “A presto.”


FINE




24 dicembre 2018

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