LA GITA IN
BARCA
racconto
di
Cesare Bartoccioni
Molti,
molti, molti anni più tardi, immobilizzato a letto contemplando la flebo del
nutrimento sopra la sua testa e sentendo la sacca del catetere riempirglisi fra
le gambe, in attesa dell’ineluttabile appuntamento con il grande falciatore che
sarebbe venuto a trovarlo di lì a due giorni, l’Onorevole Vázquez tornò con la
mente a quella fatidica giornata di Ferragosto di tanti, tanti, tanti anni
prima.
Il sole
splendeva magnifico, il libeccio spirava benevolo spandendo nell’aria un
gradevole aroma di salsedine e di frutti di mare, la superficie dell’oceano era
liscia come l’olio.
“Eccola qui,
Signor Ministro, che gliene pare?” La voce di Carmelito, nasale e acuta, gli aveva
dato sempre un gran fastidio. Ma, d’altra parte, i contributi che il suo
aiutante apportava al partito si erano rivelati sempre più congrui e sempre più
imprescindibili. Certo, era meglio non indagare troppo sulla loro provenienza,
ma per il resto… Puntuali e regolari.
“Bella
barchetta, eh?” Aveva continuato Carmelito.
L’Onorevole Vázquez
aveva confermato con un cenno d’assenso del capo.
La ‘barchetta’
era uno yacht a due alberi di quasi 30 metri, dotato delle ultime tecnologie nel
campo della navigazione automatica, tanto che, in quei quattro giorni di crociera,
a bordo vi sarebbero stati solo lui, Carmelito, e il computer. E quest’ultimo,
non avendo né orecchie né occhi, sarebbe stato il compagno perfetto per il tenore
della conversazione sulle prossime strategie elettorali di cui l’Onorevole e il
suo braccio destro avrebbero svisceratamente discusso.
“Il tempo di
finire di imbarcare la benzina per il motore e per i generatori elettrici, e
siamo pronti.”
“Bene,
Carmelito, amico mio. Bene.”
“Una volta
fuori dal porto, Ministro, attiverò il software per spiegare le vele e avviare
la rotta al largo. Vedrà, Ministro, vedrà! Il silenzio e la quiete le faranno
dimenticare le preoccupazioni di questi ultimi giorni.”
Lo sperava
davvero, l’Onorevole Vázquez, lo sperava davvero.
Le sue politiche
di tolleranza zero erano state duramente osteggiate e criticate persino dagli
alleati di governo, negli ultimi tempi, tanto che lo stesso Re gli aveva fatto
pervenire una specie di ultimatum, che gli si era impresso nella mente come una
lastra fotografica.
Eccell.mo
On. Vázquez S. M., Ministro delle Risorse Ittiche et Ippiche di Sua Maestà et
Preg.mo Membro Onorario dell’Ordine del Corsetto et Calzetto,
riteniamo Nostro dovere invitare Sua
Ecc.za ad una più prudente cautela nella tutela delle prerogative nazionali, in
quanto gli ultimi provvedimenti approvati stanno aliendandoCi le simpatie di
cui fino ad oggi avevamo goduto da parte dei Nostri stimati Parenti. Ci pregiamo
riferirCi soprattutto alle ultime misure restrittive nei confronti della
Confraternita della Pesca d’Altura del basso Quadrante Oceanico, invitando Sua
Ecc.za a diluire la lettera dei Suoi preg.mi decreti attuativi et consentire
alla detta Confraternita di operare in una situazione di sicurezza et amicizia
presso le zone esclusive di Nostra competenza.
Certi di un Suo pronto et ragionevole
riscontro, desideriamo con la presente esternarLe la Nostra più sincera stima et
cordialità.
Indubitabilmente Vostri,
Sua Altezza
Reale ecc. ecc.
“Coglione!”
“Come dice,
Ministro?”
“Ah, niente,
niente, Carmelito, pensavo tra me e me.”
Coglione. Si
era ripetuto il Ministro tra sé e sé. Se non ci fossi io, qui, a impedire che
quei filibustieri anglofoni della CPA la facciano da padroni, la nostra
marineria ittica finirebbe tutta sul lastrico, altro che. Che se ne vadano a
pescare a casa loro.
Di lì a poco
si erano imbarcati, il Ministro e il suo aiutante. Avevano preso il largo, con
il computer che, diligente, spiegava le vele, manovrava il timone, avvisava
tramite cicalino acustico la prossimità di ostacoli, nella fattispecie un paio
di barchette da diporto, una a tribordo, l’altra a babordo, che stavano salpando
in quello stesso momento.
L’Onorevole Vázquez
e Carmelito, chiusisi sottocoperta con un buon bicchiere di Aguardiente di canna in mano, avevano iniziato a
rilassarsi, i pensieri rivolti all’imminente campagna politica.
“Dobbiamo
girare ogni singolo villaggio, Carmelito, dalle città alle campagne, battere il
ferro finché è caldo.”
“Certo, Ministro,
certo. I soldi per questo ci sono e ci saranno. Ma possiamo stare tranquilli, i
sondaggi ci danno in grande vantaggio.”
“Tranquilli
un corno.” Vázquez aveva abbassato gli occhi sul bicchiere, la voce ridotta a
un borbottio. “Non sai cosa possono tirar fuori, i nostri bravi avversari,
quando meno te l’aspetti. Dobbiamo far salire ancora le nostre ‘quotazioni’,
premunirci per qualsiasi sorpresa a cui, ci puoi scommettere tutti i fondi del
partito, staranno già lavorando.”
“Eh,
Ministro, ma non le sembra di esagerare? Siamo fortissimi. Nessuno ci può
battere.”
Vázquez aveva
poggiato la mano destra sulla gamba sinistra del suo braccio destro, con un
gesto quasi paterno.
“Senti,
Carmelito, senza offesa, ma tu pensa a far girare il denaro. Alla politica
lascia pensare me.”
“Certo,
certo, ci mancherebbe.” Carmelito era rimasto con entrambe le mani sul proprio
bicchiere, di cui aveva appena sorseggiato il contenuto. Pareva che lo stesse
abbracciando. Si schiarì leggermente la voce. “Ehm… ma… la lettera del Re?”
Vázquez
aveva sbuffato, nella sua ormai abituale espressione di boriosa insofferenza.
“Il Re. Il
Re. Il Re non ha mai capito un bel niente di niente. Non ha alcuna idea di ciò
che vuole il popolo. E finché io sarò Ministro, voglia o non voglia, i
pescherecci della CPA non entrano. Anzi, meglio che se ne stiano lontani mille
miglia, ché sennò gli mando contro le fregate, poi vedono.”
“Mando loro
contro.”
“Eh?”
“È plurale. Non
gli mando, bensì mando loro.”
“Carmelito,
ma mi prendi per il culo? Vuoi un ceffone?”
“No, no,
certo, solo…”
“Ma che
discorsi mi fai? Qui il paese va a puttane, vengono tutti a pescare nei nostri
mari, e tu mi parli dei congiuntivi?”
“Pronomi.”
“Ma va’ a caghèr,
va…” Vázquez aveva scolato il bicchiere tutto d’un colpo.
Carmelito
aveva atteso un istante, poi lo aveva imitato.
L’Onorevole Vázquez,
rinfrancato dai 43 gradi dell’acquavite, aveva strizzato l’occhio al suo
aiutante e gli aveva fatto un cenno come per alzarsi e seguirlo.
“Andiamo su
a respirare un po’ d’aria fresca, va, Carmelito.”
Giunti in
coperta, mentre Carmelito stava armeggiando con il pannello di controllo del
timone, Vázquez aveva alzato gli occhi al cielo, lo sguardo attratto da una massa
scura e grigia sospesa nel vento.
“Ehi, Carmelito,
ma non è che va a piovere?”
Carmelito
aveva sollevato lo sguardo, aveva atteso due secondi netti, quindi aveva iniziato
a ribattezzare tutti i Santi del calendario in una infinita serie di sacramenti
che, ora, l’Onorevole Vázquez sentiva che sarebbe stato meglio non rivangare nella
mente.
Poi, il
buio.
Poi, l’onda.
Poi, l’urlo
di Carmelito. L’ultima nota, stonata come sempre, che avrebbe mai sentito da
quelle stridule, eppur amichevoli, corde vocali.
Poi, il
nulla.
Poi…
Si era
risvegliato a bagno, aggrappato a un pezzo del pennone di controvelaccino, attaccato
al mozzicone di trinchetto che lo teneva a malapena a galla. Gli occhi gli
andarono sulla bandiera strappata di quel paradiso fiscale di cui non ricordava
neppure il nome, unico vestigio rimasto di ciò che un tempo era stato “El Nacional”, il glorioso yacht del partito.
Intorno, cavalloni giganteschi, spruzzi di schiuma marina, l’orizzonte plumbeo
che ora appariva e ora scompariva. Si era sentito debole, boccheggiava per respirare,
ingoiava aria e acqua salmastra. Non riusciva a muovere le gambe. Il dolore
agli arti superiori era insostenibile. Avrebbe presto dovuto mollare la presa,
e non ce l’avrebbe fatta a nuotare, lo sapeva. E, in quelle acque infestate da
squali, ci avrebbe certamente lasciato le penne.
Le onde lo
sollevavano e lo portavano sott’acqua. Lo risospingevano a galla e lo facevano
riaffondare. Non avrebbe sostenuto ancora a lungo quell’infernale altalena. La
cresta dell’onda si abbassava e il riquadro di cielo gli si profilava davanti. Poi
di nuovo l’onda, poi di nuovo il cielo, poi l’onda, poi una chiglia. Una chiglia.
Una nave.
Con le
ultime forze rimaste, stringendo a morte il lembo di vela con la sinistra come se
si fosse aggrappato all’anima, aveva alzato la destra, in una disperata
richiesta di aiuto.
Aveva chiuso
gli occhi. Aveva mantenuto il braccio destro alzato, ultimo pennone di speranza
di un corpo ormai quasi totalmente immerso nell’abisso. Aveva sentito le forze
finalmente cedergli, mancargli. Il sonno eterno che iniziava a calargli sugli
occhi.
La mano lo
aveva afferrato saldamente. Aveva riaperto le palpebre. Oltre la nebbia della spossatezza
che gli ottenebrava la vista, sul bianco scafo della nave, le tre rosse lettere
erano nitide come fiamme: CPA.
Dalla scala
di corda che era stata calata per soccorrerlo, l’uomo che gli teneva
tenacemente la mano gli aveva sorriso, benevolo e amichevole, da un volto
ancora giovanile nonostante i vetusti bianchi capelli.
“Welcome on
board, Sir.”
FINE
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